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Museo della Collegiata di San Giovanni battista Chianciano Terme

MUSEI

Museo della Collegiata di San Giovanni battista

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RECAPITI E ORARI

Museo della Collegiata di San Giovanni battista
via solferino 38 Chianciano Terme

Telefono 0578-30378


Biglietto da visita (vCard)


ORARI DI APERTURA E VISITA:
Apertura da aprile ad ottobre
Il Museo nacque nel 1923 come “Sala d’arte antica” per riunire, in accordo con il Comune, opere provenienti dalla Collegiata di S. Giovanni Battista e dalle chiese di Chianciano ed è stato riordinato nel 1988 secondo moderni criteri museali in tre ambienti al primo piano dell’Arcipretura.

Nel vano adibito a biglietteria sono stati collocati due cassoni, un reliquiario in tessuto con l’Albero della Vita e due armadi che custodiscono numerosi oggetti a uso liturgico Sulla parete destra della prima sala è esposto un affresco staccato che raffigura l’Assunzione della Vergine, databile fra Tre e Quattrocento e ascrivibile a un artista senese vicino a Martino di Bartolomeo; proviene dalla Collegiata, come il rilievo in marmo rosso con il Cristo benedicente, lavoro di uno scultore senese della prima metà del XIV secolo.

Una vetrina raggruppa importanti oreficerie: la base di un reliquiario trecentesco in rame dorato nei cui smalti sul nodo sono riproposte figure di santi, un calice con patena di fine Quattrocento, un reliquiario a tempietto e un piatto per elemosine dei primi del Cinquecento. La grande Croce dipinta dell’inizio del XIV secolo, in precedenza nella Collegiata e già attribuita al Maestro di S. Polo in Rosso, è ora riferita a Segna di Bonaventura. Nei terminali dei bracci laterali appaiono i busti dei Dolenti e superiormente la figura di Dio Padre benedicente. A seguito delle soppressioni sono divenute di proprietà del Comune di Chianciano, che le ha concesse in deposito al Museo, una scultura lignea policroma raffigurante la Madonna col Bambino in trono, databile al 1265-1270, concepita nell’ambito della bottega di Nicola Pisano e una delicatissima Madonna dell’Umiltà di primo Quattrocento, vicina ai modi pittorici del fiorentino Lorenzo di Niccolò.

Un polittico frammentario della prima metà del XIV secolo - attribuito a un anonimo artista senese discepolo di Ugolino di Nerio, che da quest’opera ha tratto l’appellativo di Maestro di Chianciano - mostra nello scomparto centrale la Madonna col Bambino: alla sua destra sono presenti, a più che mezza figura, l’Arcangelo Michele e il Battista, alla sinistra il monaco Macario e l’apostolo Bartolomeo. Le cuspidi racchiudono, nello stesso ordine, i santi Stefano, Secondiano, Ireneo e Silvestro, ma sono perdute le quattro figure esterne. Gli effigiati sono identificati da tituli, che rendono più facile il riconoscimento, infatti se Stefano (un giovane diacono con pietre sopra il capo, a sinistra) e il barbuto papa Silvestro che chiude la serie sono agevolmente riconoscibili, risultano invece meno caratterizzati e legati alla devozione della Diocesi di Chiusi (di cui Chianciano rappresentava la sede estiva), Secondiano e Ireneo, raffigurati con la palma del martirio tra le mani. Sulla cornice compaiono anche i nomi di “David” e “Isaia” e la presenza fa ipotizzare che nel coronamento superiore, oggi perduto, fossero rappresentati profeti.

In una piccola ancona conservata nella sala successiva, raffigurante San Giovanni Battista che sostiene Chianciano, opera di un ignoto pittore locale del XVI secolo, è riprodotto l’antico aspetto del centro abitato. Entro la cerchia di mura sono riconoscibili, da sinistra, la rocca sulla cui torre sventola il vessillo con la stella a otto punte bianca in campo rosso, la piazza con la torre, il palazzo Comunale (con merli, torri e il simbolo civico in facciata) e infine la Collegiata, al cui culmine compare una candida scultura raffigurante il Battista. Il dipinto mostra il Santo chiamato a proteggere la città dalla quale è investito dell’ufficio di patrono, secondo un modulo iconografico allora molto diffuso. Poiché l’iscrizione che corre inferiormente (“+sce•Johanes•ora•pro”) è priva della parola finale dell’invocazione, si può ipotizzare che la tavola sia stata rifilata. Superiormente all’ancona, che è proprietà del Comune, compare in una lunetta la Madonna col Bambino e al di sotto la stella chiancianese.

Una vetrina racchiude un reliquiario a braccio di San Giovanni Battista, opera di un orafo della seconda metà del XVI secolo, tre calici di primo Seicento, candelieri in ottone e una piccola scultura lignea dorata raffigurante la Madonna col Bambino, tutti seicenteschi. Un’altra vetrina contiene argenti più tardi: due calici della seconda metà del Seicento, uno degli inizi del secolo successivo e due carteglorie realizzate da Paolo Taddei tra il 1696 e il 1705. È ascrivibile a un artista umbro di primo Cinquecento un frammento di affresco staccato che ripropone la Madonna col Bambino e fu compiuto per la Confraternita della Buona Morte, ora chiesa dell’Immacolata. A Marco Bigio, pittore senese del XVI secolo dalla sfumata personalità, viene riferita una piccola tavola che rappresenta la Madonna col Bambino, San Rocco e San Sebastiano. La scelta dei santi può far presumere che l’opera sia stata commissionata in un periodo di contagio; proviene dalla Collegiata e mostra Sebastiano con le frecce del martirio e Rocco caratterizzato dai simboli del pellegrino: il bordone con il fazzoletto annodato, le spine d’istrice dietro le spalle e le insegne sul mantello costituite dai piccoli bastoni incrociati e dalla conchiglia.

Due testate di bara, già nella Collegiata, raffigurano la Madonna col Bambino e San Giovanni Battista e sono attribuite a un pittore fiorentino della prima metà del Cinquecento. Accanto è esposta una vetrata dipinta, opera di un artista di tardo Quattrocento, che ripropone l’immagine di San Giovanni Battista. Due sportelli di armadio mostrano sulle quattro ante, dipinti a tempera, San Pietro e San Paolo, San Giuseppe e San Giacomo. Sono di un artista senese della seconda metà del Cinquecento: alla stessa data e al medesimo ambiente devono essere ricondotti anche gli intagli della cimasa con testine angeliche. In origine erano nella chiesa della Madonna delle Rose. I quindici Misteri del Rosario sono restituiti da una pittura di carattere popolare del tardo XVI secolo, pervenuta dal monastero francescano di S. Michele Arcangelo.

Al pittore fiorentino Niccolò Betti - un allievo di Michele Tosini di cui si hanno notizie dal 1571 al 1617, che lavorò allo Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio, ma al quale si rivolsero poi soprattutto committenti provinciali - è stata attribuita la tela con la Madonna del Rosario, già nella Collegiata. Ai lati del trono della Vergine, dietro a Santa Caterina da Siena appaiono tre donne, presso San Domenico altrettanti uomini, a rappresentare, con forte caratterizzazione fisiognomica, sia le età della vita che i membri della Confraternita del Rosario, i quali nel 1616 commissionarono il dipinto in occasione dell’aggregazione all’arciconfraternita romana della Minerva.

La terza sala vede riunite altre due tele di Niccolò Betti raffiguranti entrambe l’Annunciazione. L’una proviene dal monastero di S. Michele Arcangelo e sul leggio reca l’iscrizione “suora madda/lena•fecit/1580”; l’anno ricorre anche sul libro tra le mani della Vergine. L’altra Annunciazione fu commissionata dalla Confraternita della Buona Morte e il simbolo del sodalizio compare, insieme alla sigla “n.b.” e alla data 1581, sulla base del leggio. Lo stemma della Compagnia, inserito in un cartiglio di gusto buontalentiano, è costituito dal simbolo della morte e da due clessidre accompagnati dalle parole: “in hoc signo vinces”. A un pannello sono appese due piccole tele con le teste della Vergine e dell’Arcangelo Gabriele: sono da annoverare tra le numerose derivazioni dalla miracolosa immagine dell’Annunziata di Firenze diffuse dopo il Concilio di Trento. Si devono a un artista fiorentino di metà Seicento e provengono dalla Collegiata.

Un grazioso dipinto devozionale collocato sull’altro lato del pannello raffigura i Santi Crispino e Crispiniano, patroni dei calzolai: in primo piano i due svolgono il proprio lavoro, l’uno conciando una pelle a un bancone, l’altro cucendo delle scarpe seduto su di uno sgabello, in una bottega nella quale appaiono in bella mostra un gran numero di forme in legno. In contrasto con questa scena che ripropone un ambiente del XVIII secolo (a parte le vesti romane, protette però da grembiuli di cuoio), sul fondo si apre un panorama caratterizzato da edifici antichi, nel quale sono raffigurati alcuni tormenti inflitti ai due santi, immersi in una caldaia prima ricolma di piombo liquefatto, sostituito poi - data l’inutilità del supplizio - con pece ardente mista a grasso e olio. Un’iscrizione, apposta sul retro della tela, informa che il quadretto “Fu fatto a proprie spese dai Magnifici Signori Giovan Domenico Sgrelli, Luigi Scarselli e Pietro Carlani” e che venne benedetto dall’arciprete Antonio Forti il 24 ottobre 1780.

Gli altri dipinti sono rappresentati da una Sacra Famiglia settecentesca, per cui è stato proposto il nome di Galgano Perpignani e che proviene dalla Confraternita della Buona Morte, da una copia della Madonna del Divino Amore di Raffaello e dalla Visione di San Gaetano, riferita dubitativamente al pittore senese Astolfo Petrazzi, attivo nel XVII secolo. La tela con la Purificazione della Vergine, ascritta a Crescenzio Gambarelli, all’opera nel Senese tra Cinque e Seicento, era originariamente nella Collegiata. In una vetrina sono esposti i tessuti: un parato composto da pianeta, stola e manipolo in velluto rosso risale agli inizi del Seicento, un altro è della fine del XVIII secolo.

Due ulteriori vetrine accolgono argenterie: in una sono riunite una croce astile seicentesca e una del secolo successivo, due ostensori del XVIII secolo, nell’altra vassoi, ampolle, una palmatoria, un secchiello, un aspersorio e calici sette e ottocenteschi.

di Ludovica Sebregondi

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